E alla fine la Lega, dopo decenni di tentativi andati a vuoto, ha ottenuto dal Parlamento, ossia dall’attuale governo, l’approvazione della legge sull’Autonomia differenziata,
Il testo è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale la legge N. 86 del 26 giugno 2024 recante ‘Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione’.
La nuova legge entrerà in vigore a partire dal prossimo 13 luglio 2024.
L’art.1 del testo normativo prevede che “[….] al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei principi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei principi di indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione, definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, nel rispetto delle prerogative e dei Regolamenti parlamentari.
L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della legge o sulla base della procedura di cui all’articolo 3, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ivi compresi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali nel rispetto dell’articolo 1, comma 793, lettera d), della legge 29 dicembre 2022, n. 197, che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), e nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 119 della Costituzione.
Tali livelli indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti su tutto il territorio nazionale e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali e per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”
Scarica qui il testo integrale della nuova legge N. 86 sull’autonomia differenziata
Il nodo cruciale della legge sarà quello della definizione dei LEP -LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI.
Infatti, definire i LEP significa:
- individuare, per ciascuna materia (salute, istruzione, assistenza sociale, trasporti), uno standard adeguato di prestazioni e servizi che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale;
- dove necessario, garantire a comuni, province, città metropolitane e regioni le risorse necessarie per erogare i servizi oggetto di LEP.
Significa, in sostanza, fissare uno standard adeguato e garantire le risorse per raggiungere tali finalità “in maniera equamente intesa, e non in maniera essenziale, su tutto il territorio nazionale”.
Non si può non aggiungere che anche da un punto di vista metodologico non è affatto semplice tradurre i diritti civili e sociali da garantire ai cittadini in indicatori e livelli di prestazioni effettivamente misurabili.
Si tratta infatti di un processo che comporta una serie di passaggi non semplici e che attengono alla:
- mappatura dei servizi erogati sul territorio da ciascun ente;
- identificazione dei servizi in cui è necessaria la determinazione dei Lep;
- valutazione dei livelli di spesa e dei servizi erogati per i settori interessati dai Lep;
- determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, in modo da stabilire se le risorse a disposizione dell’ente sono sufficienti per erogare il servizio in questione. In caso contrario, per calcolare a quanto ammontino le risorse aggiuntive.
Il punto chiave è che lo Stato non deve soltanto stabilire delle soglie adeguate (ad esempio, se parliamo di servizi prima infanzia, il numero di posti offerti ogni 100 bambini residenti); deve anche verificare che le risorse a disposizione degli enti siano sufficienti, e in caso contrario riconoscerne di aggiuntive.
L’introduzione dei LEP, previsti dalla Costituzione ma mai declinati è, dunque la condizione necessaria anche per garantire l’offerta di un adeguato livello di servizi.
Prendiamo ad esempio di uno dei servizi con maggiore disomogeneità sul territorio nazionale, gli asili nido e i servizi socio-educativi per la prima infanzia: in Emilia Romagna 89,6% dei comuni offrono servizi prima infanzia, in Calabria nello stesso anno erano soltanto il 19,3% (dati 2020).
Se parliamo di istruzione – materia da intendersi sempre con riferimento all’intero “sistema nazionale dell’istruzione e formazione”, e nello specifico alla formazione cd. iniziale, quella cioè rivolta all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione, il legislatore da un lato ha promesso la scrittura dei LEP (vedi la legge n. 42/2009 ancora non attuata sul punto), dall’altro ha scritto LEP di scarsa efficacia (vedi il d.lgs. n. 226/2005 in tema di IeFP).
A ben vedere, allora, mediante la determinazione dei LEP si stabiliscono, in modo oggettivo, i punti di equilibrio tra le modalità e le forme di svolgimento dei poteri assegnati alle autorità decentrate e le garanzie dello Stato, anche dal punto di vista finanziario, per consentire la pari fruizione dei diritti di cittadinanza in materia di istruzione su tutto il territorio nazionale.
Fatta questa necessaria premessa, venendo nello specifico al settore scuola, evidenziamo come l’art. 116 terzo comma della Costituzione, in primo luogo rinvia espressamente ad alcune specifiche materie che la Costituzione assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (e che dunque sono in via di principio sottratte dall’intervento legislativo delle Regioni): si tratta delle materie indicate nella lettera l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, e nelle lettere n) e s) del secondo comma dell’art. 117 Cost.
Questo rinvio espresso è di estrema importanza, in quanto la lettera n) riguarda le “norme generali sull’istruzione”, e dunque le norme che devono essere dettate con legge dello Stato tali da essere di immediata e diretta applicabilità ed operatività in ogni Regione senza bisogno di alcuna norma di attuazione (vedi Corte cost. n. 279/2005).
Esse definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e formazione, e pertanto “richiedono di essere applicate in maniera necessariamente unitaria ed uniforme su tutto il territorio nazionale” (vedi Corte cost. n 200/2009).
Appare evidente che si distinguono dalle norme relative ai principi fondamentali – quelli cioè che la legge dello Stato è abilitata a dettare ai sensi del terzo comma dell’art. 117 sempre in materia di istruzione, ma fatta “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e formazione professionale -, in quanto questi ultimi da un lato richiedono l’intervento del legislatore regionale per la loro attuazione, e dall’altro lato “non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema nazionale d’istruzione che caratterizza le norme generali sull’istruzione” (vedi Corte cost. n. 200/2009).
In estrema sintesi, quindi, dalla lettura del provvedimento “Calderoli” si ravvisa il tentativo (concreto) di attribuire, con l’autonomia differenziata, alle singole regioni ulteriori condizioni e forme particolari di autonomia con specifico riferimento a quanto disciplinato nelle “norme generali sull’istruzione” che, concernendo l’intero sistema nazionale di istruzione, riguardano sia l’istruzione scolastica che la Iefp.
In secondo luogo, con il testo di legge, le forme e condizioni particolari di autonomia possono concernere tutte le materie cosiddette “concorrenti”, quelle cioè in cui le Regioni, pur già disponendo della potestà legislativa, sono tenute a rispettare in relazione ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.
Si tratta, tra l’altro, di un lungo e denso elenco di materie, tra le quali, per l’appunto la materia della “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e formazione professionale”.
Cosa che significa ?
Le norme generali sull’istruzione, oggi saldamente nelle competenze dello Stato, appaiono tra quelle che si tenta di far ricadere, per le Regioni che dovessero chiederlo, nell’ambito dell’Autonomia differenziata e, quindi nella competenza delle Regioni.
Teniamo conto che per norme generali sull’istruzione si intendono le disposizioni legislative, applicabili in tutto il territorio nazionale in modo uniforme, che disciplinano le finalità di ciascuna scuola, individuano i livelli minimi di ore di insegnamento, fissano il limite di età per l’iscrizione a scuola.
Si pensi che nell’ultimo testo “Calderoli” dopo i numerosi emendamenti, l’autonomia differenziata prevede che l’Istruzione possa essere completamente regionalizzata perfino nella diretta gestione del personale scolastico.
Il rischio è che la scuola non è più considerata funzione, organo e scopo dello Stato, ma, in maniera gravemente riduttiva, alla stregua di un servizio pubblico che fornisca delle semplici prestazioni. In quest’ottica, anche una ottimale definizione dei LEP sarebbe inadeguata e insufficiente.